L’approccio imprevedibile del presidente americano sta minando la credibilità del paese sui mercati internazionali
- Oltre ai deficit commerciale e pubblico, emerge un terzo squilibrio: quello della credibilità politica
- I continui cambi di direzione sui dazi creano incertezza per importatori e investitori
- I mercati finanziari mostrano segnali di sfiducia, con vendite di titoli di Stato USA
La politica economica ondivaga dell’amministrazione Trump sta aggiungendo un terzo deficit a quelli già noti dell’economia americana. Accanto al debito commerciale con l’estero (mille miliardi in crescita) e al debito pubblico (36mila miliardi, oltre il 100% del PIL), si manifesta ora un acuto deficit di credibilità. La gestione dei dazi rappresenta l’esempio più lampante di questo comportamento erratico: le tasse sulle merci importate vengono introdotte, ridotte, sospese e minacciate nuovamente con una sequenza totalmente imprevedibile e formule matematiche fantasiose. Gli importatori faticano persino a comprendere quali saranno i dazi effettivi. La prima potenza economica mondiale, da fattore di stabilità internazionale, si è trasformata in fonte di estrema precarietà. Paradossalmente, questo caos economico va contro gli obiettivi dichiarati di ridurre i disavanzi, contribuendo invece a peggiorarli. Le imprese americane non mostrano entusiasmo per il rientro in patria, poiché la realizzazione di nuovi impianti richiede 2-3 anni di pianificazione e certezze che mancano. Sul fronte finanziario, gli investitori hanno iniziato a vendere titoli di Stato USA, provocando un aumento del tasso d’interesse dal 4% al 4,5% – segnale della sfiducia dei mercati nell’amministrazione Trump. Come dimostrato dal caso della premier britannica Liz Truss, rimasta al governo solo un mese prima di essere travolta dalle reazioni dei mercati, recuperare la credibilità perduta sulla scena internazionale risulta estremamente difficile.